giovedì 2 febbraio 2012

Focus di Pinerolo: I pensionati discutono del futuro della scuola

A conclusione della discussione... dopo aver ripensato alle nostre esperienze e aver riflettuto sulla situazione attuale della scuola e degli insegnanti e su quella globale della società in cui viviamo ci siamo dette che a scuola devono arrivare persone preparate e motivate, i dirigenti però devono anche avere strumenti per aiutare chi arriva ad inserirsi. Le responsabilità e le azioni di tipo burocratico dovrebbero essere interamente gestite dai DGSA per dar modo ai dirigenti di tornare ad occuparsi della didattica, di come gli insegnanti insegnano, di come si relazionano con gli allievi e con le famiglie, dovrebbero avere risorse per supportare l'azione didattica attraverso dei percorsi formativi permanenti per gli insegnanti nuovi e vecchi. È chiaramente un punto di vista parziale perchè i presenti al focus rappresentano una categoria di insegnanti e dirigenti che hanno alle spalle esperienze di formazione e di insegnamento di un certo spessore e che anche dopo il pensionamento, continuano a impegnarsi sul fronte della scuola o in generale nella cultura...
La visione della scuola che emerge dalla discussione risente quindi di questo retroterra di esperienze che tende a mettere in discussione non solo la professionalità dell'insegnante ma anche la struttura organizzativa della scuola e soprattutto quegli aspetti che ognuno di noi ha vissuto come un intralcio, un peso.

E pensando all'affanno quotidiano con cui si affronta l'insegnamento giorno dopo giorno, sempre presi tra una riunione e l'altra per cui alla fine il momento del 'fare scuola' che richiede riflessione, scambio con i colleghi e progettazione viene ridotto a pochi momenti rubati qua e là... verso la fine del dibattito si formula una proposta: perché non pensare a due settimane in meno di vacanza per poter dedicare del tempo con tranquillità alla formazione e alla progettazione didattica?
Ma non basta: se una o due ore al giorno sono il tempo minimo che un insegnante dovrebbe dedicare alla progettazione didattica, questo tempo non deve solo essere riconosciuto come inerente alla funzione docente ma deve far parte strutturalmente dell'orario di servizio ed essere svolto a scuola non a casa. Sono cose che si dicono da tempo... ma ragioni politiche hanno sempre posto dei freni in questa direzione.

La progettazione didattica e la formazione devono diventare azioni di sistema, non lasciate alla volontà dei singoli. Se servono nuove figure all'interno dell'organigramma scolastico si devono creare. Il problema attualmente è che gli stessi insegnanti che potrebbero utilmente ricoprire ruoli diversificati nella scuola generalmente (guarda caso) sono anche quelli che investono di più sul piano didattico e quindi è difficile pensare di allontanarli dalle classi per fare altro. Sono sempre loro quelli che hanno imparato a fare progetti e hanno dato contributi allo sviluppo dell'autonomia.

Il cosiddetto 'aggiornamento' deve essere comune a tutti, gestito dall'alto, non facoltativo. La forbice tra gli insegnanti aumenta a dismisura se si guardano le competenze che alcuni hanno accumulato nel tempo frequentando corsi e facendo sperimentazioni.
Come si può omogeneizzare la formazione e nello stesso tempo differenziare i ruoli, se non si va mai a toccare l'impianto organizzativo generale della scuola, se non si ragiona sulla necessità di un cambio strutturale nell'orario di lavoro degli insegnanti e sul fatto che la formazione in servizio deve far parte integrante della professionalità docente?

E poi si dovrebbe aprire anche il discorso sulla valutazione ... Ma ci sarà un focus apposito su questo.

Ci è sembrato importante sottolineare come gli insegnanti sembrino non avere consapevolezza della situazione globale della società e tendano ad arroccarsi su posizioni individualistiche e spesso arretrate, cercando con i libri di testo o metodi 'miracolosi' di sopperire alla mancanza di competenze adeguate alle richieste che provengono dal contesto socio-culturale sempre più variegato. Preso atto dell'esistenza di un problema, un professionista dovrebbe avere le competenze e gli strumenti per affrontarlo o, se non li ha, dovrebbe cercare soluzioni adeguate. Come mai questo nella scuola non avviene? Ė solo per una mancanza cronica di risorse o è un problema di mancanza di professionalità?
Ci siamo chieste come mai la scuola non sia in grado di sincronizzare le proposte formative con i nuovo modi di apprendere dei 'nativi digitali' che poi, diventati adulti, dovranno anche fare i conti con un mercato del lavoro totalmente differente da quello di un tempo, cosa a cui questa scuola certamente non prepara. Dipende dalla scuola e da come è strutturata o è di nuovo un problema di professionalità degli insegnanti? E il divario fra gli allievi che hanno dietro le spalle una famiglia che culturalmente li sostiene e quelli che non ce l'hanno si ingigantisce creando un disagio diffuso, che gli insegnanti non riescono a gestire.

L'università che ruolo svolge nella formazione di una professionalità docente al passo con i tempi? Non ci sembra che chi entra nella scuola oggi con una laurea sia più attrezzato disciplinarmente e metodologicamente rispetto a prima, se non ha fatto esperienze significative sul campo. Sorge quindi il problema di come viene svolto il tirocinio. È attivo o passivo? Si prova a fare scuola o si sta a guardare? E chi sceglie i tutor? Con quali criteri?

Alla fine si è discusso poco del ruolo che potrebbero avere gli insegnanti 'anziani' nella scuola perché ci si è trovati d'accordo sul fatto che ad un certo punto della carriera si può essere stanchi del lavoro a contatto con gli allievi, soprattutto lavorando con bambini più piccoli, e farebbe bene poter dedicare gli ultimi anni di lavoro ad attività di supporto all'insegnamento e di tutoraggio per i nuovo insegnanti. Ma chi diventa tutor ha i requisiti per farlo? Certamente non basta essere 'anziani'.

Hanno destato molta discussione i momenti di confronto tra la realtà attuale e quella che ognuno di noi ha vissuto agli inizi della sua carriera scolastica. I problemi c'erano anche allora, e molto grossi, ma si affrontavano con un altro spirito perché c'erano delle certezze sul posto di lavoro che ora non esistono più. Il precariato rende tutto instabile, senza futuro, senza prospettive e si passa ad una concezione 'impiegatizia' dell'insegnamento. Non si è più disponibli ad investire perché manca una visione a lungo termine non solo del lavoro ma anche della propria vita.
Mentre ai nostri tempi i problemi si affrontavano cercando il supporto dei colleghi, si cresceva insieme, si facevano esperienze insieme, perché i colleghi erano quelli per un tot di anni... e potevi intrecciare relazioni durature, ora tutto questo non esiste più. Mancando la continuità vengono meno anche le relazioni.

Si è parlato del ruolo che aveva avuto per ciascuno di noi la partecipazione ai gruppi del MCE Torinese negli anni '70, di come si investisse e di come ci si esponesse anche politicamente per far evolvere certe idee, che poi in gran parte si sono realizzate... ad esempio il tempo pieno che allora rappresentava una vera rottura rispetto alla scuola tradizionale e segnava anche ideologicamente chi chiedeva di andare a insegnare in una scuola di quel tipo. Ma c'è stata un'evoluzione? Che cosa si è rotto? Che cosa non ha funzionato?
Gli organi collegiali, tanto voluti, sono diventati negli ultimi anni un impiccio: ma perché c'è stato questo cambiamento di rotta? Che cosa lo ha provocato?

Questi sono solo alcuni spunti. Forse mancano pezzi importanti della discussione e alcuni non sono stati espressi nel migliore dei modi... quindi invito i partecipanti al focus a completare con le loro riflessioni e chi non ha partecipato direttamente ad inserirsi nel dibattito offrendoci nuovi contributi.

6 commenti:

  1. Aggiungo una breve riflessione.
    Io penso che la scuola rifletta sempre ciò che avviene nella società e se non sa attrezzarsi per affrontare le 'novità', non può più svolgere il suo ruolo di roccaforte del sapere e della formazione di base e allora deve interrogarsi sul perché e trovare nuove strategie per affrontare in modo più rapido i problemi posti dal contesto socio-culturale in cui si trova ad operare.
    Gli insegnanti sono sempre i primi ad accorgersi che qualcosa sta cambiando perché la società entra con prepotenza dentro la scuola e in ogni situazione si arrabattano per affrontare i problemi. Ma non tutti lo fanno nel modo migliore e molti trovano nelle difficoltà generate dalle situazioni stesse alibi potenti per disimpegnarsi, per giustificare il proprio modo di agire anche se lo sanno inadeguato. Il sostegno che arriva dalle istituzioni non è quasi mai commisurato all'ampiezza dei problemi da affrontare. O per lo meno sono inadeguate le risorse.

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  2. Ho ancora corretto e integrato il testo in alcuni punti che mi sembravano poco chiari o non sufficientemente sviluppati. Non sarà l'ultima revisione.....

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  3. Ogni volta che rileggo ne aggiungo un pezzo...

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  4. Risposte
    1. Mercoledì avrei dovuto esserci ma la neve mi ha bloccata. Il resoconto di Donatella però mi fa sentire sulla stessa lunghezza d'onda: sono le stesse riflessioni a cui pensavo anch'io.
      Aggiungerei ancora due parole sull'idea dell'insegnante ricercatore e sperimentatore: la partecipazione alle attività di ricerca promosse dalle associazioni professionali come MCE offre ancora adesso la possibilità di uscire dall'isolamento della propria classe e/o della propria scuola e di trovare altri colleghi con cui confrontarsi, con cui sentirsi in sintonia, magari non sul territorio, ma a livello nazionale. E' vero che le associazioni sono in crisi, perché ci sono sempre meno giovani che partecipano, (le osservazioni fatte sul precariato valgono anche per le associazioni), tuttavia ho potuto constatare, partecipando di recente a seminari di ricerca del MCE che ora come negli anni 70 i giovani insegnanti che si accostano al mondo dell'associazionismo professionale hanno la stessa passione e lo stesso bisogno di ricerca che avevamo noi all'inizio del nostro percorso lavorativo. La formazione universitaria non ha esaurito tutti i bisogni del giovane insegnante perché i bambini cambiano, le esigenze della scuola e della società pure e gli insegnanti continuano ad aver bisogno di studio, confronto, condivisione, cooperazione.
      Per concludere vorrei ricordare una bella esperienza di formazione, questa volta istituzionale e non volontaria, quale è stata quella che ha portato all'introduzione dell'insegnamento precoce delle quattro lingue comunitarie (francese, inglese, spagnolo e tedesco) nella scuola primaria. Lo stato ha “inventato” e poi formato, negli anni 90, gli insegnanti di L2, fornendo non solo corsi di base di lingua, ma creando anche i poli linguistici, luoghi di ricerca linguistica e formazione continua che hanno permesso a molti un aggiornamento continuo a tutto vantaggio dei propri alunni e della scuola tutta.
      Come è finita questa esperienza lo sappiamo tutti: con le tre “I”......

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    2. il dibattito è interessante.
      Aggiungerei qualche breve riflessione
      Per molti anni abbiamo sperato, creduto e lavorato affinchè le idee innovative che venivano dalla ricerca didattica dal cognitivismo, dalle epistemologie delle varie discipline facessero da sfondo al nostro fare scuola quotidiano. Non è successo. Sono state idee grandiose bruciate dalla miopia politica. Abbiamo BRUCIATO grandi idee. Ci sono periodi , nella storia, in cui le idee non possono trovare sviluppo...noi lo abbiamo centrato in pieno.
      Ci sono problemi organizzativi/contrattuali
      ci sono problemi formativi
      Se la la formazione e l'allungamento dell'orario fossero diventate prassi consolidate certamente ci sarebbe stato un argine l'argine più solido, lA SCUOLA avrebbe retto meglio al disastro.
      Ancora moltissime ragazze pensano che fare l'insegnante consentirà loro di aver più tempo per la vita di famiglia...
      Ma c'è un problema serio anche sui soggetti che possono e devono garantire un livello alto di formazione in ingresso e in servizio.
      le associazioni, le scuole, le università?

      C'è un altro problema serio ed è il ricambio generazionale
      E' un problema sociale ovviamente... Se le nuove generazioni non possono accedere al lavoro investendo su di esso energie e motivazioni, non c'è ricerca, non c'è riflessione, non c'è la voglia di innovazione..
      Sono molto d'accordo che si debba provare a trovare un modo per garantire il passaggio ...del mestiere e si debba poter prospettare un fine carriera diverso. chissà come però..Non è possibile prospettare situazioni simili per tutti!!

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