mercoledì 21 marzo 2012

Puntare in alto

La sensazione prevalente, dopo aver assistito a dibattiti specifici e incontri "generalisti" è che manchi la capacità di programmare, prevedere, immaginare, definire il ruolo docente nel futuro, almeno i quello prossimo.
Ci si ferma alla contingenza, all'emergenza, all'ultima jattura ministeriale e si cerca una possibile difesa, alle volte ci si ripara sotto ombrelli rotti, ma l'atteggiamento è di difesa.
Non si capisce che la difesa migliore per il ruolo docente è puntare in alto, e che la valutazione (o la ricerca del modo corretto per valutare) è un ascensore per elevare il livello di chiarezza deontologica e professionale.
Invece i docenti rispondono: "...e mo' ce tocca pure questa?!"

giovedì 2 febbraio 2012

Focus di Pinerolo: I pensionati discutono del futuro della scuola

A conclusione della discussione... dopo aver ripensato alle nostre esperienze e aver riflettuto sulla situazione attuale della scuola e degli insegnanti e su quella globale della società in cui viviamo ci siamo dette che a scuola devono arrivare persone preparate e motivate, i dirigenti però devono anche avere strumenti per aiutare chi arriva ad inserirsi. Le responsabilità e le azioni di tipo burocratico dovrebbero essere interamente gestite dai DGSA per dar modo ai dirigenti di tornare ad occuparsi della didattica, di come gli insegnanti insegnano, di come si relazionano con gli allievi e con le famiglie, dovrebbero avere risorse per supportare l'azione didattica attraverso dei percorsi formativi permanenti per gli insegnanti nuovi e vecchi. È chiaramente un punto di vista parziale perchè i presenti al focus rappresentano una categoria di insegnanti e dirigenti che hanno alle spalle esperienze di formazione e di insegnamento di un certo spessore e che anche dopo il pensionamento, continuano a impegnarsi sul fronte della scuola o in generale nella cultura...
La visione della scuola che emerge dalla discussione risente quindi di questo retroterra di esperienze che tende a mettere in discussione non solo la professionalità dell'insegnante ma anche la struttura organizzativa della scuola e soprattutto quegli aspetti che ognuno di noi ha vissuto come un intralcio, un peso.

E pensando all'affanno quotidiano con cui si affronta l'insegnamento giorno dopo giorno, sempre presi tra una riunione e l'altra per cui alla fine il momento del 'fare scuola' che richiede riflessione, scambio con i colleghi e progettazione viene ridotto a pochi momenti rubati qua e là... verso la fine del dibattito si formula una proposta: perché non pensare a due settimane in meno di vacanza per poter dedicare del tempo con tranquillità alla formazione e alla progettazione didattica?
Ma non basta: se una o due ore al giorno sono il tempo minimo che un insegnante dovrebbe dedicare alla progettazione didattica, questo tempo non deve solo essere riconosciuto come inerente alla funzione docente ma deve far parte strutturalmente dell'orario di servizio ed essere svolto a scuola non a casa. Sono cose che si dicono da tempo... ma ragioni politiche hanno sempre posto dei freni in questa direzione.

La progettazione didattica e la formazione devono diventare azioni di sistema, non lasciate alla volontà dei singoli. Se servono nuove figure all'interno dell'organigramma scolastico si devono creare. Il problema attualmente è che gli stessi insegnanti che potrebbero utilmente ricoprire ruoli diversificati nella scuola generalmente (guarda caso) sono anche quelli che investono di più sul piano didattico e quindi è difficile pensare di allontanarli dalle classi per fare altro. Sono sempre loro quelli che hanno imparato a fare progetti e hanno dato contributi allo sviluppo dell'autonomia.

Il cosiddetto 'aggiornamento' deve essere comune a tutti, gestito dall'alto, non facoltativo. La forbice tra gli insegnanti aumenta a dismisura se si guardano le competenze che alcuni hanno accumulato nel tempo frequentando corsi e facendo sperimentazioni.
Come si può omogeneizzare la formazione e nello stesso tempo differenziare i ruoli, se non si va mai a toccare l'impianto organizzativo generale della scuola, se non si ragiona sulla necessità di un cambio strutturale nell'orario di lavoro degli insegnanti e sul fatto che la formazione in servizio deve far parte integrante della professionalità docente?

E poi si dovrebbe aprire anche il discorso sulla valutazione ... Ma ci sarà un focus apposito su questo.

Ci è sembrato importante sottolineare come gli insegnanti sembrino non avere consapevolezza della situazione globale della società e tendano ad arroccarsi su posizioni individualistiche e spesso arretrate, cercando con i libri di testo o metodi 'miracolosi' di sopperire alla mancanza di competenze adeguate alle richieste che provengono dal contesto socio-culturale sempre più variegato. Preso atto dell'esistenza di un problema, un professionista dovrebbe avere le competenze e gli strumenti per affrontarlo o, se non li ha, dovrebbe cercare soluzioni adeguate. Come mai questo nella scuola non avviene? Ė solo per una mancanza cronica di risorse o è un problema di mancanza di professionalità?
Ci siamo chieste come mai la scuola non sia in grado di sincronizzare le proposte formative con i nuovo modi di apprendere dei 'nativi digitali' che poi, diventati adulti, dovranno anche fare i conti con un mercato del lavoro totalmente differente da quello di un tempo, cosa a cui questa scuola certamente non prepara. Dipende dalla scuola e da come è strutturata o è di nuovo un problema di professionalità degli insegnanti? E il divario fra gli allievi che hanno dietro le spalle una famiglia che culturalmente li sostiene e quelli che non ce l'hanno si ingigantisce creando un disagio diffuso, che gli insegnanti non riescono a gestire.

L'università che ruolo svolge nella formazione di una professionalità docente al passo con i tempi? Non ci sembra che chi entra nella scuola oggi con una laurea sia più attrezzato disciplinarmente e metodologicamente rispetto a prima, se non ha fatto esperienze significative sul campo. Sorge quindi il problema di come viene svolto il tirocinio. È attivo o passivo? Si prova a fare scuola o si sta a guardare? E chi sceglie i tutor? Con quali criteri?

Alla fine si è discusso poco del ruolo che potrebbero avere gli insegnanti 'anziani' nella scuola perché ci si è trovati d'accordo sul fatto che ad un certo punto della carriera si può essere stanchi del lavoro a contatto con gli allievi, soprattutto lavorando con bambini più piccoli, e farebbe bene poter dedicare gli ultimi anni di lavoro ad attività di supporto all'insegnamento e di tutoraggio per i nuovo insegnanti. Ma chi diventa tutor ha i requisiti per farlo? Certamente non basta essere 'anziani'.

Hanno destato molta discussione i momenti di confronto tra la realtà attuale e quella che ognuno di noi ha vissuto agli inizi della sua carriera scolastica. I problemi c'erano anche allora, e molto grossi, ma si affrontavano con un altro spirito perché c'erano delle certezze sul posto di lavoro che ora non esistono più. Il precariato rende tutto instabile, senza futuro, senza prospettive e si passa ad una concezione 'impiegatizia' dell'insegnamento. Non si è più disponibli ad investire perché manca una visione a lungo termine non solo del lavoro ma anche della propria vita.
Mentre ai nostri tempi i problemi si affrontavano cercando il supporto dei colleghi, si cresceva insieme, si facevano esperienze insieme, perché i colleghi erano quelli per un tot di anni... e potevi intrecciare relazioni durature, ora tutto questo non esiste più. Mancando la continuità vengono meno anche le relazioni.

Si è parlato del ruolo che aveva avuto per ciascuno di noi la partecipazione ai gruppi del MCE Torinese negli anni '70, di come si investisse e di come ci si esponesse anche politicamente per far evolvere certe idee, che poi in gran parte si sono realizzate... ad esempio il tempo pieno che allora rappresentava una vera rottura rispetto alla scuola tradizionale e segnava anche ideologicamente chi chiedeva di andare a insegnare in una scuola di quel tipo. Ma c'è stata un'evoluzione? Che cosa si è rotto? Che cosa non ha funzionato?
Gli organi collegiali, tanto voluti, sono diventati negli ultimi anni un impiccio: ma perché c'è stato questo cambiamento di rotta? Che cosa lo ha provocato?

Questi sono solo alcuni spunti. Forse mancano pezzi importanti della discussione e alcuni non sono stati espressi nel migliore dei modi... quindi invito i partecipanti al focus a completare con le loro riflessioni e chi non ha partecipato direttamente ad inserirsi nel dibattito offrendoci nuovi contributi.

mercoledì 1 febbraio 2012

Oggi si è tenuto il Focus dal titolo "I pensionati discutono del futuro della scuola" qui a Pinerolo, nonostante le intemperie (neve, ghiaccio...)
Presto farò un resoconto di quanto ci siamo detti anche per dar modo a chi per cause di forza maggiore non è potuto intervenire di dire la sua.
Il gruppo era composto da cinque ex-insegnanti di scuola elementare (me compresa) e media e da due ex-dirigenti di primaria e superiore. Mancavano gli insegnanti pensionati della scuola superiore che quindi invito a partecipare ... anche prima che compaia il resoconto della discussione perché mi ci vorrà ancora qualche giorno. Il punto di partenza comune è stato il documento qui pubblicato sulla professionalità docente.

domenica 22 gennaio 2012

Per inserire materiali nuovi si clicca in alto a destra su 'nuovo post'.
B) LO SVILUPPO DELLA PROFESSIONALITA’ DELL’INSEGNANTE:
UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE DA CONDIVIDERE...MODIFICARE ...AMPLIARE......da D.Merlo N Maldera L. Tremoloso

1) Per ogni insegnante la vita lavorativa è immutabile per ruolo e mansione. Gli anni di lavoro, la partecipazione ad attività formative o di ricerca, la disponibilità e la sensibilità ad occuparsi di aspetti di vita collegiale non determinano mai un cambiamento di vita professionale o di riconoscimento formale. Quasi sempre l’autorevolezza della “propria unicità” professionale è lasciata alla capacità dei singoli docenti che all’interno delle proprie scuole o dei propri gruppi di riferimento riescono a farsi riconoscere, implicitamente, la propria preparazione didattica o culturale ecc. Gli insegnanti non vedono nel loro futuro un cambiamento legato alla storia professionale e anzi, sentono che le competenze e le capacità acquisite non servono per arricchire la scuola o per favorire la crescita professionale di altri docenti ma hanno spesso la percezione di possedere un sapere inutilizzabile. Nella scuola italiana, la professionalità è spesa nel chiuso della propria aula e nessuno è in grado di vedere, di valorizzare e di mettere “a sistema” il patrimonio culturale e di pratiche didattiche presenti sul territorio. Il sistema scuola d’altra parte, non chiede ... non ha grandi pretese.. è organizzato per dimostrare che ogni insegnante è intercambiabile, che non ci sono differenze, come se i contesti e gli ambienti sul territorio fossero tutti uguali.

2) Ogni insegnante dovrebbe maturare la propria professionalità in un ambiente di condivisione di scelte culturali e metodologiche. Dovrebbe condividere con un gruppo di lavoro le scelte che condizionano e definiscono l’ambiente reale e concreto dei propri ragazzi\allievi, la collegialità dovrebbe essere il garante dell’innovazione, della ricerca didattica, della crescita professionale dei docenti che lavorano insieme.
Ogni insegnante dovrebbe avere una ricca strumentazione di base (organizzativa, disciplinare, metodologica, culturale, psicologica) che gli permetta di prendere, in ogni momento, decisioni coerenti per l’apprendimento, la formazione, l’educazione, l’emancipazione culturale dei propri allievi.
Troppo spesso invece, l’unico strumento che definisce contenuti, tempi di attuazione, metodologie da utilizzare in classe è il libro di testo. Il libro di testo dovrebbe essere di supporto ma è, in molti (troppi casi) “il regista" - nemmeno così occulto - del processo didattico.
Se l’insegnante – in una scuola di massa - non ha un quadro concettuale della disciplina, non in funzione della sua strutturazione storico-logica, ma dell’apprendimento, e, contemporaneamente, non possiede uno schema di riferimento dei modi attraverso cui procede la comprensione, ma si affida alla articolazione lineare del testo, alla strutturazione “monumentalizzata” che esso dà della disciplina, e conclude con esso il suo apparato metodologico, finisce per essere una comparsa, un ripetitore più o meno efficace di una serie di conoscenze organizzate a monte del processo formativo, in funzione della strutturazione logica della disciplina, ma non della comprensione reale e partecipata da parte dell’allievo.
Un insegnante che si affida al solo testo, diventa massa anch’esso, portatore di una professionalità debole e come tale facilmente sostituibile, privo di riconoscimento sociale. Le sue prerogative professionali finiscono, al più, per definirsi sul piano delle qualità psicologiche, su quello – non secondario, ma non sufficiente - delle capacità relazionali.
Questo, a tutt’oggi, sembra essere il profilo più diffuso di docente; nonostante anni di corsi e di iniziative di aggiornamento, l’esperienza SSIS, i contributi dei centri di ricerca didattica presso le Università.
Purtroppo si è ancora lontani nelle scuole dalla prospettiva educativa (teorizzata in specifico da Chevallard - vedi nota - per la matematica, ma che si può leggere in senso più ampio), per cui il compito principale dell'insegnante dovrebbe essere quello di ri-contestualizzare e personalizzare un sapere (quello disciplinare, normalmente decontestualizzato e depersonalizzato), dando ad esso senso e “vita”. Per poi, nel tempo, e nel corso del percorso formative, ri-decontestualizzarlo e ricondurlo progressivamente vicino alla sua forma astratta e formale. Il processo sotteso a questo compito presuppone di assumere la didattica, e la professionalità ad essa sottesa, come un vero e proprio lavoro di “ricerca”, di riflessione e azione, o, meglio, di progettazione, di pratica e di analisi. Solo così è possibile costruire quel patrimonio di casi e di approcci che consente all’insegnante di utilizzare “al momento”, nella situazione contingente della classe e per il singolo allievo, le risposte adeguate. Inutile dire che più ricca è la versatilità, la ricchezza strumentale di cui si attrezza, più facilmente il docente sarà efficace nei contesti più diversi, più facilmente diventerà capace di adattarsi ai processi di trasformazione, all’evoluzione sociale e strumentale che negli anni deve affrontare.
Ma l’insegnante non è considerato - né molti degli stessi docenti si sono mai pensati come se lo fossero - un “ricercatore”. Qualcuno, tuttavia, lo ha fatto e continua a farlo costruendo, per se stesso, un patrimonio di conoscenze. E’ una ricchezza appartenente ai singoli che è stata e continua ad essere dispersa costantemente. Non è mai stato considerato quel valore in termini di arricchimento della comunità e della struttura formativa. L’esperienza e le condizioni in cui versa l’Istituzione scolastica dimostrano che se non è 'di sistema', la professionalità non produce guadagno. Se fallimento c’è stato negli sforzi per la formazione docente, fin qui messi in campo, è nel fornire una teoria e una pratica che, se raramente ha prodotto cambiamento di mentalità nei singoli, mai si è posta, invece, il problema del cambiamento in tal senso della organizzazione del sistema nel suo complesso.

PROPOSTE
Si potrebbe prevedere un percorso professionale diversificato alla fine della carriera? E’ possibile prevedere un tempo di lavoro dedicato ai propri allievi e un tempo di lavoro dedicato all’accompagnamento, all’accoglienza e al supporto degli insegnanti appena entrati nella scuola così da non perdere il patrimonio didattico e metodologico che ha acquisito negli anni, ogni docente?

Nota
Chevallard Y., 1985, La transposition didactique, Editions La Pensée Sauvage.


In questo blog troverete i materiali per la riflessione nei focus.
Durante questo periodo di preparazione alla 3° Conferenza Regionale sulla Scuola, il blog ci servirà per arricchire, anche con contributi personali, la documentazione per la pubblicazione e per preparare il Convegno finale.

venerdì 13 gennaio 2012

Lo scopo del Blog

Condividere e dibattere le idee emergenti dai Focus group per preparare la 3° Conferenza Regionale della Scuola che si terrà a Torino nel mese di aprile 2012.